Siamo in Colorado, a Lions!

Il libro

Bonnie Nadzam, autrice del controverso romanzo Lamb, torna con l’inquietante e spietato ritratto di una comunità rurale sull’orlo del collasso e dei suoi abitanti, combattuti fra il desiderio di inseguire i propri sogni e un irragionevole bisogno di restare dove sono. A metà fra ghost story e resoconto realistico di un amore, Lions è ambientato nell’omonima cittadina degli altopiani del Colorado, un luogo ormai quasi del tutto disabitato e ammantato di leggenda. Concepita per diventare una gloriosa città nell’Ovest in via di sviluppo, Lions non è riuscita a trasformarsi nella realtà sognata dai suoi fondatori. Lo zuccherificio è fallito e le uniche attività commerciali ancora in piedi sono un piccolo bar, un diner che conta sui viaggiatori provenienti dalla vicina statale e un’officina di lavorazione del metallo che sopravvive a stento. I cittadini di Lions conducono vite semplici, tormentate dai fantasmi – dei loro antenati, delle loro ambizioni e speranze, di un futuro incerto – e, quando un misterioso viandante giunge in città, la sua sinistra presenza spinge molti ad andarsene definitivamente. Fra i pochi abitanti rimasti ci sono Leigh e Gordon, una coppia di diciassettenni che sogna di andare al college. Gordon, tuttavia, perde il padre all’improvviso e non riesce a liberarsi del dolore e del senso di responsabilità verso l’insolita eredità ricevuta dal genitore. Si trova quindi a dover scegliere se partire o trattenersi a Lions per rilevare la gestione dell’officina, rinunciando così alle proprie aspirazioni. Lions è una storia di autoconsapevolezza, di ambizione, una riflessione sull’ossessione americana per l’autorealizzazione e sulla responsabilità, e sulle storie che quotidianamente ci raccontiamo per convincerci che la vita valga la pena di essere vissuta.

La mia lettura

Quando si legge della provincia americana nei romanzi si ha la tentazione di immaginare che molti aspetti che autori e autrici descrivono sono amplificati a beneficio della trama: le piccole e sperdute cittadine in mezzo al nulla con i loro diner dalle insegne fluorescenti, gli immancabili distributori di benzina con una pompa vecchissima e un benzinaio che sembra uscito da un film, le case prefabbricate con il pick-up parcheggiato davanti, una chiesa (spesso bruttina), il bowling e poco altro.

Tutto vero. Non sono luoghi comuni, se siete stati in Colorado o in qualunque altro stato andando in giro in auto non potete non aver visto quanta desolazione c’è in certa provincia americana, io mi sono domandata tante volte come si possa crescere in posti dove non c’è niente, non un cinema, non una libreria, un teatro, niente di niente! In questo romanzo Bonnie Nadzam racconta proprio questo: il senso di desolazione, l’isolamento, in cui si è venuta a trovare questa piccola comunità che, nata con grandi ambizioni (nomen omen), ha dovuto fare i conti con una realtà completamente diversa. Una terra arsa e dura, difficile da coltivare, ogni iniziativa commerciale sembra essere destinata a “estinguersi” come lo zuccherificio, come la polverosa ferramenta, chi ha inventiva e talento come i membri della famiglia Walker che si sarebbero potuti arricchire con invenzioni mai brevettate e competenze tecniche messe sempre al servizio della comunità e mai fatte fruttare, sembra essere posseduto da una sorta di indolenza che gli impedisce di migliorare, di crescere.

Lions sembra maledetta, destinata ad estinguersi già dalla nascita, tutto è vecchio, arrugginito, tutti si lamentano ma pochi hanno la forza di raccogliere le loro cose e partire, vivono una realtà che di reale ha poco, sono incatenati a credenze inventate da loro stessi, fantasmi di un passato che non vuole farsi da parte. La figura di John Walker è enigmatica, un uomo dedito solo al lavoro, che trascura la famiglia perché non può fare a meno di dedicarsi alla sua attività di saldatore che non gli procura neppure grandi entrate, la sua è una sorta di passione che divora, si esercita nella sua attività che torna utile a tanti ma che serve soprattutto a sé stesso, è una sorta di religione. Nonostante la generosità e il bene che non lesina di fare ai suoi concittadini, John non è un personaggio realmente positivo, a me è parso incredibilmente “egocentrato”, alle lunghe giornate di lavoro alterna partenze verso luoghi sperduti degli altopiani dove va a cercare solitudine, il suo relax, lontano dalla moglie devotissima e dal figlio Gordon adolescente che è il suo clone e a cui non dedica nessuna attenzione se non quando lo obbliga a lavorare con lui in officina.

Bonnie Nadzam ci restituisce un mondo tristissimo dove a nulla servono il senso di condivisione della comunità, l’amicizia che li lega e ne fa una sola grande famiglia perché in fondo non c’è una vera purezza di sentimenti, John Walker è considerato un pazzo e nessuno ne fa mistero! Tutti godono dei suoi favori ma questo non lo mette al riparo dalle critiche. Bonnie Nadzam scrive divinamente, è evocativa, è coraggiosa a mostrare quanto dietro al nulla ci sia effettivamente il nulla!

Se avete letto i romanzi di Haruf o di Butler o di Drury o Carver (citando autori contemporanei), vi sarete abituati a personaggi diversi, dietro al contadino, la casalinga, il prete di campagna trovate sempre ( o quasi) uomini e donne che si portano dentro un mondo tutt’altro che misero e banale come potrebbe sembrare, si elevano al di sopra della vita spartana che ci viene raccontata. Qui no. L’unica a provare il grande desiderio di scappare appena possibile è Leigh Ransom, coetanea di Gordon, sua amica e poi fidanzata, sono inseparabili per cui la ragazza vuole condividere il sogno di partire con il suo amico, Leigh però è fraintesa dalla madre, da Gordon e sua madre, dalla comunità che pur consapevole di trovarsi in un posto che sta scomparendo, una ghost-town, rimane incatenata all’idea che sia loro dovere rimanere.

A Lions non c’è traccia di Sogno Americano, non c’è traccia di realizzazione, Bonnie Nadzam ci dice che si può anche vivere, consapevolmente, una vita indesiderata ai più, una vita in cui un vento fresco può essere la cosa più bella di una giornata e se il grano matura si ringrazia il cielo come fosse un evento straordinario. Gordon incarna al 100% questo spirito, è un giovane vecchio, Leigh si ribella a tutto questo e finisce per pagarne le conseguenze.

Mi ha fatto venire un’ansia terribile Gordon quando dice:

“C’è così tanto silenzio, così tanto spazio vuoto. Quello che fino a un attimo prima ti era parso importante di colpo scompare … Tutti i tuoi progetti. La preoccupazione di dover fare qualcosa nella vita”.

Aiutooo

“ Per quanto tempo si può abitare un luogo ed essere convinti di abitarne un altro che in realtà non esiste?”

Si domanda invece la povera Leigh.

Forse allontanandosi da un posto lo si può vedere per quel che è, portando una persona fuori da un posto la si può vedere per quel che non è.

Confesso che invidio chi riesce ad accettare le cose per quello che sono, chi non è divorato dal desiderio di cambiare, di fare, di andare … chi siamo destinati ad essere saremo.

Lions di Bonnie Nadzam – Black Coffee ed. (Traduzione di Leonardo Taiuti) Pp 288 € 14,00 sul sito dell’editore

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